Teresa Rosalini
artista, orafa, scenografa e costumista.
Dopo la laurea in Storia dell’Arte e un apprendistato in laboratori di oreficeria a Valenza Po e Pisa, apre un laboratorio nel quale disegna e realizza gioielli unici in oro, argento, ottone e pietre preziose.
Brevetta un paio di orecchini scomponibili in oro composti da due elementi fissi e 8 rimovibili che può dar luogo a innumerevoli e diverse composizioni.
La sua ricerca la porta poi a utilizzare materiali diversi. Crea quindi una collezione di gioielli in stoffa che s’ispirano anche alle tecniche tradizionali dell’oreficeria.
Una sua collezione di gioielli di stoffa è stata indossata nel corso del Festival del Cinema di Venezia in un evento organizzato dal Museo Guggenheim. La collezione è stata in seguito esposta nel Bookshop del Museo.
Si dedica inoltre alla scultura e al teatro.
Partecipa, esponendo quattro grandi Cappelli-Maschera in feltro, alla Mostra Identità e diversità, il Cappello e la creatività, a Firenze a Palazzo Medici Riccardi. I Cappelli-Maschera, assieme ad altri da lei realizzati per il teatro, vengono poi esposti al M’ARS – Contemporary Art Museum di Mosca.
Realizza a Pisa nella Chiesa di Santa Maria della Spina, sulla riva dell’Arno, un’installazione dal titolo Come due gocce d’acqua. L’opera (in ferro, stoffa, feltro, spago, legno e colori acrilici) mette di fronte come allo specchio due grandi figure circolari, due figure femminili che, come direbbe Wislawa Szymborska, sono diverse come due gocce d’acqua: una con un pesante orecchino di due metri di diametro, l’altra con l’intreccio di un burqa dalle lunghe trame sottili che mostrano assieme bellezza e pesantezza della propria cultura.
Partecipa alla Mostra L’Artista, Il Maestro e Margherita al Palagio di Parte Guelfa a Firenze con La luna in giardino, un’installazione in ferro, legno, stoffa, spago e colori acrilici, composta da cinque elementi in bianco lunare.
Tra le sue ultime opere La fragilità del bene, in rame ferro legno e luce, esposta nell’ambito del Convegno Scienziati per la Pace. Etica e Coscienza Planetariaa Città della Pieve (Perugia).
Per il Teatro Verdi di Pisa realizza scene, costumi, oggetti di scena e cappelli per allestimenti di testi di W. Shakespeare, S. Prokof’ev e vari autori contemporanei. Per il Teatro Due di Parma lo spettacolo Far Away di Caryl Churchill, regia di Massimiliano Farau.
Cura per nove anni l’immagine di Prima del Teatro: Scuola Europea per l’Arte dell’Attore con sculture, manifesti annuali e un’opera, L’Albero, concepita in occasione della ventesima edizione.
In occasione della Milano Jewelry Week 2019, i suoi gioielli sono stati selezionati ed esposti alla Galleria Rossini fino al 20 Novembre.
Teresa è nata a San Candido (Bolzano) e vive a Tirrenia, in Toscana, dove ha il suo laboratorio.
Le piace la neve, è sposata e ha un figlio.
Una scenografia per la psiche infinita: istruzioni per visitare questo sito
di Andrea Bocconi, scrittore
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Teresa Rosalini è un’artista che fa sculture, pitture, cappelli, che lavora metalli, stoffe, plastiche, legni, colori, che è anche orafa e scenografa teatrale: si rischia di perdersi in questo labirinto di invenzioni, di colori, di materie contaminate.
E forse più che un rischio è proprio quello che suggeriamo a chi visiterà questo sito: lasciarsi andare, guardare, chiudere gli occhi e riguardare.
Bisogna scegliere un punto di vista. Io ho guardato attraverso il reticolo dei suoi “Burqa”, per vedere quello che lei vede.
– Chiedetemi cosa penso del Burqa! -, diceva Tiziano Terzani, negli incontri che teneva in tutta Italia per presentare il suo Lettere contro la guerra. E se qualcuno chiedeva, parlava della protezione che offriva alla donna. Troppo semplice dire che era una delle sue provocazioni, lui faceva vedere anche un altro lato della questione. Per l’esattezza faceva vedere una prospettiva, quella da dentro, quella che vive chi si cela dietro una maschera. E non penso alle maschere di carnevale, o almeno non solo a quelle: penso alla maschera da scherma (Teresa la conosce bene), con quel reticolo che fa vedere non visti e ti protegge.
Tra le maglie dei suoi burqa, coloratissimi, bianchi, neri, Teresa osserva il mondo e lo traduce in una sua lingua, una lingua che non ha i limiti tradizionali: oltre a vederla e sentirla, si muove nello spazio con fruscii e tintinnii, sente il vento come un’epidermide, si scompone e ricompone in arabeschi aerei. Le emozioni di Teresa colorano il tessuto e si fanno sentire, con la forza dei silenzi.
La parola arabeschi ci ricorda che quei ghirigori eleganti sono in realtà una lingua, una cultura, città e deserti arabi: e quelli di Teresa, i tereseschi, sono i segni di un mondo che è la sua psiche, è come lei restituisce quello che ha visto, toccato, gustato. Io non sono sicuro che Teresa sia terrestre: non gliel’ho mai chiesto direttamente perché è una donna riservata, e poi ci sono obblighi di segretezza da rispettare: credo sia una “Citluvit”, come Fosco Maraini, che me lo confessò candidamente: “cittadina della Luna in viaggio istruzione sulla terra”.
Secondo me i “tereseschi” sono messaggi per noi, cercano di insegnarci come si vedono le realtà sottili. Ci sono le cose che si vedono e quelle che non si vedono, dicono i balinesi che hanno una sensibilità che gli permette di coglierle entrambe: “sekala niskala”, e sanno mostrarcele assieme nei quadri affollati di creature magiche, nella musica del gamelan, nella danza del legong.
Teresa disegna messaggi con fili metallici che, anche se sono alti due metri, sembrano sospiri o le belle volute di fumo del fumatore esteta, ci mostra il cielo stellato e le galassie in fazzoletti colorati, ci augura la buona notte in una lingua che non conosco ma mi mette pronto per il sonno, e per visitare i suoi sogni.
Lei non ti dirà niente, ma con un gesto gentile ti inviterà nella sua psiche. E quando avrai terminato il cammino, avrai imparato qualche diecina di parole misteriose, i tereseschi.
Ti serviranno.